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40 nel Gobi

Sono seduto in una ger mongola nel deserto del Gobi davanti ad una pentola piena di horhog, una ciotola di patate, una bottiglia di bordeaux ed una candela accesa.

La degna conclusione di una giornata indimenticabile, un modo eccezionale ed inaspettato per festeggiare il mio quarantesimo compleanno.

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Solo che il mio compleanno sarà domani.

Ma cominciamo dall’inizio.

Siamo arrivati qui ieri accompagnati da Chuca, l’insostituibile autista ingaggiato a Dalanzadgad per un tour di tre giorni nel deserto: ieri la gola di Yolin Am (la Valle delle Aquile), oggi le dune di Khongoryn Els (le dune che cantano), domani le rupi fiammeggianti di Bayanzag.Questa è la nostra ultima tappa in Mongolia e non volevamo perdere l’occasione di assaggiare l’horhog, piatto tradizionale a base di carne di capra, verdure e patate cucinate lentamente insieme a pietre roventi. Solo che per poterlo preparare bisogna appunto ucciderla una capra (comprandola, logicamente), mancando congelatori, macellai e supermercati…

Per convincere la famiglia che ci ospita ad affrontare la laboriosa preparazione decidiamo allora di raccontargli che già oggi è il mio compleanno e vorremmo festeggiarlo degnamente abbuffandoci con il loro piatto tipico. Grazie alla mediazione del buon Chuca accettano, ed a quel punto a Sara viene un’altra idea: perchè non assistere al procedimento per intero, macellazione compresa? Subito mi era sembrata una cosa barbara e cruenta, alla fine si è rivelata invece rivelatrice, certo forte, ma istruttiva.

Detto fatto, la mattina del mio non-compleanno Chuca ci porta, cunetta dopo cunetta, da uno dei figli della famiglia che vive poco lontano in una piccola casetta nel mezzo del nulla con moglie e due figli piccoli e alleva un bel gregge di capre. Le guardo da lontano e mi sento un po’ carnefice sapendo che una di loro oggi sarà uccisa per prepararci la cena. In quanto convinto onnivoro consapevole so bene però che contribuisco comunque a farlo succedere continuamente, l’unica differenza è che oggi lo vedrò dal vivo.

Lui e lei sono giovani, belli e ospitali: ci accolgono in casa offrendoci del te e ci osservano con curiosità mentre scherziamo con i loro figli piccoli, probabilmente non sono molti gli occidentali che gli fanno richieste del genere. Ad un loro cenno seguiamo Chuca ed il giovane pastore fuori e… dopo mezz’ora staremo già fissando increduli i vari tagli di capra stesi sul pianale del fuoristrada.

Mi aspettavo fiotti di sangue e versi strazianti, ma niente di tutto questo fa parte della maniera di macellare tradizionale mongola; al contrario ispira rispetto, naturalezza e consapevolezza delle leggi di sopravvivenza in un ambiente così ostile.

Tengono stretta e tesa la capra a pancia in su, uno le preme forte il ginocchio sulla gola mentre l’altro la afferra dalle zampe posteriori; poi mentre l’animale comincia lentamente ad asfissiare praticano una piccola incisione sull’addome, infilano veloci una mano all’interno spezzando una qualche vena, e qualche minuto dopo è tutto finito.

Dopo pensavo avrebbero continuato all’esterno, invece in tutta tranquillità l’hanno trasportata in casa e, mentre i due bimbi ad un metro giocavano e guardavano la tv come se niente fosse, con il solo ed unico coltellino di prima e gesti rapidi e precisi l’animale è stato scuoiato, eviscerato e macellato sul pavimento, con la collaborazione della giovane moglie che nel frattempo con un catino ed acqua bollente ha ripulito le interiora e portato fuori tutto il sangue (per la felicità del cane), che con questa tecnica si rapprende in un unico grosso grumo nella zona dei polmoni.

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Alla fine ci hanno offerto la pelle e la testa che abbiamo cortesemente rifiutato, e con la nostra cena nel retro della jeep siamo partiti verso le dune, dove abbiamo faticato un bel po’ per arrivare sulla sommità della più alta a piedi scalzi e tra le raffiche di vento. La ricompensa è stata un panorama mozzafiato con il sottofondo del “canto del deserto” (l’incredibile vibrazione a bassa frequenza creata dai granelli di sabbia che scorrono gli uni sugli altri), l’impareggiabile sensazione di essere i primi e soli al mondo a lasciare le orme su quelle creste soffici e dorate, e per concludere una corsa a rotta di collo dalla cima fino giù in fondo urlando a squarciagola felici come due bambini al luna park.

Tornati a casa assistiamo prima ad un infuocato tramonto e poi alla preparazione del tanto agognato horhog: pezzi di carne, patate, verdure e acqua vengono inseriti in una specie di grosso barattolone di metallo a pressione insieme a pietre roventi (lasciate per tre ore nel fuoco).

Il tutto viene poi ripetutamente scosso e rotolato per terra all’esterno mentre svapora per bene, e lasciato infine a cuocere sigillato per un’oretta sulla stufa.

Il risultato è una specie di stufato servito con brodo e patate a parte, un po’ coriaceo a dire il vero, poichè dovete sapere che i mongoli non uccidono mai animali da latte o molto giovani, in quanto hanno bisogno innanzi tutto di forza lavoro, latte, lana, letame per scaldarsi, altri nuovi nati e solo alla fine di pelli e carne; quindi il nostro caprone aveva sicuramente una certa età, diciamo… logicamente questo non mi ha assolutamente scoraggiato e, complice il Bordeaux sfoderato a sorpresa dalla mia fantastica Saretta, sono rimaste solo le ossa e due patate in croce.

Come se non bastasse ho spento anche le candeline infilate su uno Snickers, il mio snack adorato (grazie ancora Sara, questo è vero amore)! Poi una sigaretta insieme sotto le stelle del deserto, una partitina a scacchi e a nanna al tepore della stufa nella nostra ger privata.

Meraviglia.

Per la cronaca i festeggiamenti sono proseguiti ancora per i due giorni seguenti, passando per uno squisito pranzo a base di buuz fatti a mano (ravioli tradizionali mongoli), per la visita delle rupi fiammeggianti di Bayanzag al tramonto, per una squisita cena a base di zuppa liofilizzata a Dalanzadgad e, dopo 10 ore di pullman, per la trionfale cena conclusiva ad Ulaanbataar, con hotpot mongolo (meglio noto come “marmitta mongola”) come se non ci fosse un domani. Insomma nel deserto del Gobi i compleanni si festeggiano come minimo per tre giorni consecutivi, approfittatene se passate da quelle parti!

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